Il Sudafrica, ufficialmente Repubblica Sudafricana, è uno stato dell'Africa australe. È situato nella punta meridionale del continente africano e confina a nord con la Namibia, il Botswana e lo Zimbabwe, a nord-est con il Mozambico e lo Swaziland; il Lesotho è contenuto all'interno dei suoi confini. Si affaccia inoltre sull'oceano Atlantico e su quello Indiano. Capo Agulhas, il punto più a sud del continente, delimita il confine fra i due oceani (entrambi i primati sono spesso attribuiti erroneamente al più celebre Capo di Buona Speranza, che si trova sempre in Sudafrica, nei pressi di Città del Capo). Dopo la caduta dell'apartheid, nei primi anni '90, il paese ha acquisito la denominazione informale di Rainbow Nation ("nazione arcobaleno", ovvero "abitato da persone di diversi colori").
Secondo la moderna paleoantropologia, il Sudafrica fu probabilmente la "culla dell'umanità"; qui (soprattutto nella zona del Transvaal) si sono infatti trovati fossili di australopiteci, Homo habilis, Homo erectus e Homo sapiens sapiens.
Circa 10.000 anni fa l'odierno Sudafrica, come tutta l'Africa del Sud, era abitata dai boscimani, cui si aggiunsero successivamente popolazioni affini di etnia khoikhoi (ottentotti). Boscimani e ottentotti (collettivamente noti come khoisan) erano cacciatori-raccoglitori nomadi, che non diedero mai luogo a insediamenti popolosi o strutture politiche complesse.
Dopo la fine della guerra, il Partito Nazionale vinse le elezioni, e iniziò ad attuare nel paese la politica segregazionista nota come apartheid. L'ideologia dell'apartheid fu elaborata dai primi ministri boeri che si succedettero dal 1948 in poi, e soprattutto da Hendrik Frensch Verwoerd (in carica dal 1956 al 1966). Concettualmente, l'obiettivo dell'apartheid era quello di isolare i diversi gruppi etnici del Sudafrica, lasciando che ognuno di essi si sviluppasse in un proprio contesto sociale, economico e territoriale.[2] Verwoerd spiegò anche che il ruolo predominante dei bianchi nei processi politici che avrebbero portato all'autonomia delle diverse etnie era giustificato dalle circostanze storiche, ovvero dal ruolo fondamentale che i boeri avevano avuto nella nascita del Sudafrica.
Il 27 aprile 1994 si tennero le prime elezioni democratiche con suffragio esteso a tutte le razze, in cui venne eletto presidente il capo dell'ANC Nelson Mandela, cui successe poi il delfino Thabo Mbeki nel 1999. Le condizioni di vita per i neri tuttavia restano molto difficili
Il Sudafrica è un paese fortemente multirazziale; convivono, spesso con difficoltà, etnie bianche, nere, asiatiche e miste. La legge sudafricana riconosce formalmente quattro macro-categorie razziali: neri, bianchi, "coloured" (gruppi etnici di origine mista), e asiatici.
I neri bantu formano circa il 75% della popolazione, e sono suddivisi ufficialmente in 9 "nazioni": zulu 23%; xhosa 18%; sotho (del nord e del sud) 16%; tswana 7%; tsonga 4%; swazi 2,5%; venda 2%; ndebele 1,5%; pedi 1%.
I bianchi formano circa il 13% della popolazione, e si suddividono in tre gruppi: boeri (afrikaner) 6,5%, anglosassoni 5,5%, altri (ascendenza principalmente portoghese, tedesca e italiana) 1%.
Gli asiatici formano circa il 3% della popolazione e si suddividono in due gruppi: indiani 2,5%, cinesi 0,5%.
Le persone a sangue misto (coloureds) formano circa il 9% della popolazione.
Boscimani e ottentotti non raggiungono lo 0,1% della popolazione.
(Wikipedia)
domenica 30 maggio 2010
martedì 25 maggio 2010
Lo sai che....... Fatti curiosi
Lo sai che…………………
1) Non è possibile leccarsi i gomiti.
2) Originalmente, la Coca Cola era verde.
3) Una mucca può salire le scale, ma non può scenderle.
4) Nel 1987 American Airlines risparmiò 40.000 dollari semplicemente togliendo un’oliva a ciascuna delle insalate che servì in prima classe.
5) La percentuale di territorio selvaggio in Africa è pari al 28%, nel Nord America è del 38%.
6) Il “Quack, Quack” delle oche non da eco (non si sa perchè).
7) Ogni re delle carte da gioco rappresenta un grande della storia:
- re di picche – David;
- re di fiori – Alessandro Magno;
- re di cuori – Carlo Magno;
- re di quadri – Giulio Cesare.
8) Moltiplicando 111.111.111 x 111.111.111 si ottiene 12.345.678.987.654.321.
9) Se in una statua equestre il cavallo ha due zampe alzate, significa che il cavaliere morì in combattimento. Se il cavallo ha una delle zampe anteriori alzata, il cavaliere morì per le ferite riportate in battaglia. Se le quattro zampe dell’animale sono appoggiate, il cavaliere morì per cause naturali.
10) Per legge, le strade interstatali degli Stati Uniti hanno almeno un miglio rettilineo ogni cinque. Questi rettilinei possono essere utili come piste di atterraggio in casi di emergenza o in guerra.
11) L’orgasmo di un maiale dura 30 minuti. (pesante!)
12) Nel Pentagono esiste un numero di toilette doppio rispetto a quello effettivamente necessario. Il fatto è che, in origine, in ogni settore era previsto un bagno per i bianchi ed uno per i neri.
13) Nel mondo, il 23% dei problemi alle macchine fotocopiatrici sono causate da persone che si siedono sull’apparecchio per fotocopiarsi il sedere.
14) In media, un mancino vive 9 anni in meno rispetto a chi usa la mano destra.
15) Lo scarafaggio può vivere nove giorni anche se privato della testa, dopodiché muore… di fame.
16) Gli elefanti sono gli unici animali che non possono saltare (la natura é saggia).
17) Normalmente una persona ride 15 volte al giorno.
18) Thomas Alva Edison aveva paura del buio (sarà per questo che inventò la lampadina?).
19) Le farfalle sentono i sapori con i piedi.
20) L’altezza della piramide di Cheope è pari esattamente a 1 miliardesimo della distanza che separa la terra dal sole.
21) La parola “cimitero” deriva dal greco “koimetirion”, che significa “luogo per dormire”.
22) Anticamente, in Inghilterra, la gente poteva avere relazioni sessuali solo se autorizzata dal re. Pertanto chi voleva un figlio, a seguito di regolare richiesta di autorizzazione, riceveva un targa da apporre alla porta di casa, sulla quale era scritto ”Fornication Under Consent of the King”, poi sintetizzato nella sigla “F.U.C.K.”. Da cui, la moderna espressione americana…
23) Durante la guerra di secessione, quando le truppe tornavano agli accampamenti dopo una battaglia, veniva scritto su una lavagna il numero dei soldati caduti. Se non c’erano state perdite, si scriveva “0 killed”, da cui l’espressione OK nel senso di “tutto bene”.
24) Alcuni leoni si accoppiano più di 50 volte al giorno.
25) L’occhio dello struzzo è più grande del suo cervello.
26) Una balena azzurra produce più di 400 galloni di sperma quando eiacula, ma solo il 10% arriva …a destinazione. Ogni volta, quindi, 360 galloni di sperma vengono dispersi nell’acqua. E ti chiedi ancora perchè il mare è salato!!!
27) Un coccodrillo non può tirare fuori la lingua.
28) Il cuore di un gamberetto è nella testa.
29) In uno studio effettuato su circa 200.000 struzzi (durato più di 80 anni) non si è mai visto uno struzzo mettere la testa sotto la sabbia.
30) I maiali non possono fisicamente guardare il cielo.
31) I ratti e i cavalli non possono vomitare.
32) Più del 50% delle persone, in tutto il mondo, non hanno mai fatto o ricevuto telefonate.
33) Se starnutite troppo forte rischiate di rompervi una costola.
34) E’ impossibile starnutire con gli occhi aperti.
35) Se tentate di trattenere uno starnuto potreste causarvi la rottura di una vena nel cervello o nella nuca e morire all’istante.
36) Se, contro natura, tenete gli occhi aperti mentre starnutite, potrebbero uscirvi dalle orbite.
37) L’accendino è stato inventato prima dei fiammiferi.
38) I ratti si moltiplicano così rapidamente che, in soli 18 mesi, una coppia può avere più di un milione di discendenti.
39) La maggior parte dei rossetti contiene lische di pesce.
40) Il 35% delle persone che mettono annunci personali sui giornali per trovare un compagno o una compagna, è gente sposata.
41) Se tu urlassi per 8 anni, 7 mesi e 6 giorni, produrresti abbastanza energia sonora per riscaldare una tazza di caffè.
42) Nella durata media di una vita, una persona che dorme ingoierà 10 ragni e 70 insetti.
43) Il maschio della mantide religiosa non puo’ accoppiarsi finche’ la sua testa è attaccata al corpo. La femmina da’ inizio all’accoppiamento decapitando il maschio.
44) Per sbattere la tua testa contro un muro sono necessarie 150 calorie all’ora.
45) Umani e delfini sono le uniche specie che fanno sesso per piacere.
46) Una formica puo’ sollevare 50 volte il suo peso, puo’ trascinare 30 trenta volte il suo peso e’ cade sempre alla sua destra se intossicata.
47) Gli orsi polari sono mancini.
48) Un pesce gatto ha piu’ di 27.000 papille gustative.
49) Una pulce puo’ saltare una distanza pari a 350 volte la lunghezza del suo corpo. E’ come se un uomo potesse saltare da un capo all’altro di un campo di calcio.
50) Il 75% delle persone che leggono questo elenco, ha provato a leccarsi il gomito!
(www.tuttifatti.it)
domenica 23 maggio 2010
CONGO Rep Dem
La cultura della Repubblica Democratica del Congo è il prodotto della varietà di stili di vita e tradizioni delle centinaia di singole etnie del paese e delle loro modificazioni in seguito al rapporto con l'Europa e l'Occidente in epoca coloniale e post-coloniale. Anche le vicissitudini politiche del paese (in particolare la lotta per l'indipendenza, il regime di Mobutu Sese Seko, e la Prima e la Seconda Guerra del Congo) hanno avuto un impatto importante sulla cultura del paese. Come in molti paesi africani, le zone rurali conservano in misura maggiore le tradizioni dell'epoca precoloniale, mentre la cultura delle grandi città è fortemente influenzata da quella occidentale.
I confini della Repubblica Democratica del Congo (RDC), come quelli della maggior parte degli stati africani, furono stabiliti in epoca coloniale e senza tenere conto della demografia della regione e in particolare della distribuzione dei vari gruppi etno-linguistici. Entro i confini della RDC risultarono inclusi circa 250 etnie distinte, ciascuna con una propria lingua nativa. Queste etnie possono essere classificate in quattro gruppi principali:
i pigmei sono i più antichi abitatori della regione; hanno subito meno di altri gruppi l'influenza europea, e mantengono tuttora, in alcune zone, lo stile di vita tradizionale, basato sulla caccia e la raccolta dei prodotti della foresta;
i bantu hanno popolato il bacino del Congo nel corso di diverse ondate migratorie avvenute probabilmente fra il XX secolo a.C. e il VI secolo d.C.. Sono suddivisi in numerosi gruppi etno-linguistici; le tre lingue più parlate sono il kikongo, il lingala e il chiluba. Il lingala è in relazione di mutua intelligibilità con molte altre lingue bantu del Congo, e per questo motivo svolge il ruolo di lingua franca del paese;
un gruppo di ceppo principalmente bantu, ma storicamente e linguisticamente distinguibile, è quello della popolazione di lingua kingwana, un dialetto dello swahili, correlato con le popolazioni di Tanzania, Ruanda, Uganda e Burundi;
i camiti, originari del Darfur e dell'Etiopia.
Questo complesso quadro etno-linguistico dà luogo a una grande varietà culturale, ulteriormente arricchita dallo scambio e dall'influenza reciproca fra i diversi gruppi, che in particolare nelle zone urbane vivono a stretto contratto e in relazione; i matrimoni inter-etnici sono frequenti. Molti congolesi parlano più di una lingua; oltre alle lingue di origine africana, sono molto diffuse anche il francese e (soprattutto nella parte orientale del paese) l'inglese. La presenza europea ha ancora una influenza rilevante sulla cultura; nelle campagne attraverso l'opera dei missionari e nelle città soprattutto nel commercio e nell'impresa. In questi ultimi settori operano anche comunità di libanesi e pakistani.
Anche se solo l'11% della popolazione della RDC ha mantenuto il sistema di credenze religioso tradizionale della propria etnia di appartenenza, molti elementi dei culti tradizionali bantu sono sopravvissutti integrandosi in modo sincretico con il Cristianesimo. Alcuni elementi di origine tradizionale ricorrenti nella cultura religiosa dei congolesi sono i seguenti:
l'idea di un dio creatore (onnipresente o che abita nei cieli) che però non è direttamente coinvolto nelle vicende umane;
l'idea che il corpo sia mosso da una forza vitale intangibile, che lo abbandona trasformandosi in puro spirito al momento della morte;
l'idea che sulla di ogni persona una influenza importante sia esercitata dagli spiriti dei suoi antenati, che svolgono anche la funzione di intermediario fra il piano divino e quello terreno; gli antenati più antichi sono spesso messi in relazione sincretica con i santi della tradizione cattolica e cristiana;
la credenza che certi luoghi e oggetti della natura (stagni, sorgenti, monti, ecc.) siano abitati da un proprio spirito;
l'immagine di un regno dei morti sotterraneo (spesso collocato sotto un lago), simile a una replica il mondo terreno;[1]
i feticci, oggetti caricati di potere magico; nel Congo vengono in genere chiamati minkisi
la fiducia in una grande varietà di figure sacerdotali (diverse nelle diverse culture) con ruolo di indovini, stregoni, interpreti di sogni e guaritori;
l'abitudine di praticare riti e cerimonie all'aperto, per esempio presso particolari alberi e incroci stradali, in specifiche ore del giorno.
Gli effetti diretti e indiretti della guerra civile hanno progressivamente impoverito le due principali economie di sussistenza del paese, l'agricoltura e l'allevamento. Attualmente, meno del 2% del terreno della RDC è coltivato. Una parte rilevante del cibo deriva da pratiche di caccia e raccolta, e comprende frutta selvatica, funghi, miele, cacciagione e pesce.
I principali prodotti coltivati nella RDC sono mais, riso, manioca, igname, patate dolci, taro, platano, pomodoro, zucca, piselli e arachidi, che complessivamente costituiscono la base della cucina tradizionale congolese (mentre caffé e olio di palma vengono prodotti soprattutto per l'esportazione).
I piatti più tipici della cucina congolese sono stufati di verdure e carne, accompagnati da un contorno basato su una purea realizzata con una varietà di farine. La purea di cassava (farina di manioca) o di farina di mais (chiamata fufu o ugali) viene appallottolata in polpette e intinta nella salsa dello stufato; la purea di platano viene appallottolata e arrostita; e infine è frequente l'uso di purea di patata dolce, che in alcune regioni viene preparata mescolandola con arachidi arrostite. In alternativa alla purea, il contorno può essere costituito da riso, spesso mescolato ai fagioli.
(Wikipedia)
I confini della Repubblica Democratica del Congo (RDC), come quelli della maggior parte degli stati africani, furono stabiliti in epoca coloniale e senza tenere conto della demografia della regione e in particolare della distribuzione dei vari gruppi etno-linguistici. Entro i confini della RDC risultarono inclusi circa 250 etnie distinte, ciascuna con una propria lingua nativa. Queste etnie possono essere classificate in quattro gruppi principali:
i pigmei sono i più antichi abitatori della regione; hanno subito meno di altri gruppi l'influenza europea, e mantengono tuttora, in alcune zone, lo stile di vita tradizionale, basato sulla caccia e la raccolta dei prodotti della foresta;
i bantu hanno popolato il bacino del Congo nel corso di diverse ondate migratorie avvenute probabilmente fra il XX secolo a.C. e il VI secolo d.C.. Sono suddivisi in numerosi gruppi etno-linguistici; le tre lingue più parlate sono il kikongo, il lingala e il chiluba. Il lingala è in relazione di mutua intelligibilità con molte altre lingue bantu del Congo, e per questo motivo svolge il ruolo di lingua franca del paese;
un gruppo di ceppo principalmente bantu, ma storicamente e linguisticamente distinguibile, è quello della popolazione di lingua kingwana, un dialetto dello swahili, correlato con le popolazioni di Tanzania, Ruanda, Uganda e Burundi;
i camiti, originari del Darfur e dell'Etiopia.
Questo complesso quadro etno-linguistico dà luogo a una grande varietà culturale, ulteriormente arricchita dallo scambio e dall'influenza reciproca fra i diversi gruppi, che in particolare nelle zone urbane vivono a stretto contratto e in relazione; i matrimoni inter-etnici sono frequenti. Molti congolesi parlano più di una lingua; oltre alle lingue di origine africana, sono molto diffuse anche il francese e (soprattutto nella parte orientale del paese) l'inglese. La presenza europea ha ancora una influenza rilevante sulla cultura; nelle campagne attraverso l'opera dei missionari e nelle città soprattutto nel commercio e nell'impresa. In questi ultimi settori operano anche comunità di libanesi e pakistani.
Anche se solo l'11% della popolazione della RDC ha mantenuto il sistema di credenze religioso tradizionale della propria etnia di appartenenza, molti elementi dei culti tradizionali bantu sono sopravvissutti integrandosi in modo sincretico con il Cristianesimo. Alcuni elementi di origine tradizionale ricorrenti nella cultura religiosa dei congolesi sono i seguenti:
l'idea di un dio creatore (onnipresente o che abita nei cieli) che però non è direttamente coinvolto nelle vicende umane;
l'idea che il corpo sia mosso da una forza vitale intangibile, che lo abbandona trasformandosi in puro spirito al momento della morte;
l'idea che sulla di ogni persona una influenza importante sia esercitata dagli spiriti dei suoi antenati, che svolgono anche la funzione di intermediario fra il piano divino e quello terreno; gli antenati più antichi sono spesso messi in relazione sincretica con i santi della tradizione cattolica e cristiana;
la credenza che certi luoghi e oggetti della natura (stagni, sorgenti, monti, ecc.) siano abitati da un proprio spirito;
l'immagine di un regno dei morti sotterraneo (spesso collocato sotto un lago), simile a una replica il mondo terreno;[1]
i feticci, oggetti caricati di potere magico; nel Congo vengono in genere chiamati minkisi
la fiducia in una grande varietà di figure sacerdotali (diverse nelle diverse culture) con ruolo di indovini, stregoni, interpreti di sogni e guaritori;
l'abitudine di praticare riti e cerimonie all'aperto, per esempio presso particolari alberi e incroci stradali, in specifiche ore del giorno.
Gli effetti diretti e indiretti della guerra civile hanno progressivamente impoverito le due principali economie di sussistenza del paese, l'agricoltura e l'allevamento. Attualmente, meno del 2% del terreno della RDC è coltivato. Una parte rilevante del cibo deriva da pratiche di caccia e raccolta, e comprende frutta selvatica, funghi, miele, cacciagione e pesce.
I principali prodotti coltivati nella RDC sono mais, riso, manioca, igname, patate dolci, taro, platano, pomodoro, zucca, piselli e arachidi, che complessivamente costituiscono la base della cucina tradizionale congolese (mentre caffé e olio di palma vengono prodotti soprattutto per l'esportazione).
I piatti più tipici della cucina congolese sono stufati di verdure e carne, accompagnati da un contorno basato su una purea realizzata con una varietà di farine. La purea di cassava (farina di manioca) o di farina di mais (chiamata fufu o ugali) viene appallottolata in polpette e intinta nella salsa dello stufato; la purea di platano viene appallottolata e arrostita; e infine è frequente l'uso di purea di patata dolce, che in alcune regioni viene preparata mescolandola con arachidi arrostite. In alternativa alla purea, il contorno può essere costituito da riso, spesso mescolato ai fagioli.
(Wikipedia)
giovedì 20 maggio 2010
Cultura Egiziana e Curiosità d'Egitto
La cultura e lo stile di vita di molti egiziani non sono cambiati granché da centinaia di anni a questa parte. Certamente il XX secolo ha lasciato la sua impronta anche in Egitto sotto forma di prodotti divenuti di uso comune come la Coca Cola, i blue jeans e la TV, ma per la maggior parte dei fellahin (contadini e abitanti delle campagne) le cose sono rimaste sostanzialmente uguali. L'atteggiamento prevalente degli egiziani è piuttosto fatalista e si è venuto formando nel corso di migliaia d'anni di pestilenze, carestie, invasioni straniere e inondazioni.
La pittura ha fatto parte della vita degli egiziani sin da quando, nel XXIV secolo a.C., furono realizzate le prime decorazioni nella Piramide di Unas, a Saqqara. Ma furono soprattutto i faraoni del Nuovo Regno a voler decorare l'interno delle loro tombe con immagini a vivaci colori del mondo dell'aldilà e della resurrezione. La pittura egiziana contemporanea è stata fortemente influenzata dall'arte occidentale da cui è riuscita a liberarsi soltanto verso la metà di questo secolo. Il paese può ora vantare un numero nutrito di pittori che esprimono un'arte propriamente egiziana tra i quali ricordiamo Gazbia Serri, Inji Eflatoun, Abdel Wahab Morsi, Adel el-Siwi e Wahib Nasser.
Fino a tempi recenti la musica popolare egiziana si riassumeva nella voce onnipresente di Om Kolthum, la 'madre d'Egitto', scomparsa nel 1975, la cui musica e la cui leggenda tuttavia continuano a sopravvivere. Le sue canzoni, che traevano spunto dalla poesia e dall'operetta, rappresentano la musica egiziana più conosciuta in Occidente. Altri musicisti importanti furono Abdel Halim al-Hafez e Mohammed Abd el-Wahaab. La musica contemporanea sta assorbendo un numero sempre crescente di elementi della musica pop occidentale; tra gli esponenti degli stili più recenti ci sono Iheb Tawfik, Mohammed Fouad e Hakim.
Benché l'Egitto sia conosciuto per la danza del ventre, dimenare le anche avanti e indietro come usano fare le professioniste di questo ballo è in genere considerato volgare e segno di promiscuità. In effetti molte danzatrici che si esibiscono nelle località frequentate dai turisti sono europee o americane, perché un comportamento così provocante non è considerato adatto a una donna araba; le danzatrici arabe infatti, per esempio Fifi Abdou, sono sempre accompagnate da guardie del corpo che le proteggono dagli eccessi del fanatismo islamico. Nelle riunioni famigliari invece, ai matrimoni e ai ricevimenti privati, talvolta il ballo è parte dell'intrattenimento.
Naguib Mahfouz ha vinto il Premio Nobel per la letteratura nel 1988 per la sua opera La trilogia del Cairo. Al nome di Mahfouz sono legati 40 romanzi e 30 sceneggiature cinematografiche. Il suo romanzo Il rione dei ragazzi, scritto negli anni '50, è ancora all'indice in Egitto ed è considerato blasfemo da molte persone (nel 1995 il vecchio scrittore ottantatreenne ha subito un attentato la cui ragione è da ricercarsi, sembra, nel contenuto del libro). Altri scrittori importanti sono Tawfiq al-Hakim, Yahya Haqqi e Yusud Idris. La scrittrice egiziana più conosciuta è probabilmente Nawal al-Sa'dawi, sebbene sia più nota all'estero che nel suo paese.
A 140 chilometri dall´oasi di Siwa, sulle sponde di un´antica oasi abbandonata, in prossimità di quello che oggi è il lago salato di Bahrein, una missione archeologica dell'Università degli Studi di Torino ha portato alla luce, nel gennaio 2003, un tempio faraonico - naturalmente danneggiato - dalle pareti ricoperte di bellissimi rilievi dell´ultima dinastia indigena egiziana: la parte più antica dell´edificio fu fatta costruire e decorare dal faraone Nectanebo I circa 2 mila e 400 anni fa (380-360 avanti Cristo).
Usi e Costumi
E' buona norma, nei luoghi pubblici, indossare vesti o pantaloni lunghi e camicie che coprano le braccia.
Nelle moschee è obbligatorio, per le donne, indossare una sorta di mantello per coprirsi e, per tutti, entrare scalzi.
Quando ci si siede per terra bisogna stare attenti a non mostrare la pianta del piede a chi ci sta davanti, perché considerata una grave offesa.
Si consiglia di sedersi a gambe incrociate, o sui talloni (segno di grande rispetto per i beduini).
In Egitto è illegale fotografare edifici governativi, basi militari, posti di controllo di frontiera, ponti, canali, soldati e polizia. Quando si scattano fotografie è meglio evitare di riprendere le persone, perché l'Islam proibisce la riproduzione di esseri umani, quindi al massimo chiedete il permesso.
Non è educato consumare bevande alcoliche per strada, perché il Corano lo proibisce.
Soprattutto durante il Ramadan, è cattiva educazione consumare bibite, cibi e fumare sigarette in pubblico durante il giorno.
In Egitto i piatti principali sono il fu-l e il ta'méyya. Il fu-l è un pasticcio a base di fave a cui vengono aggiunti olio, limone, sale, carne, uova e cipolle per renderlo più gustoso. Il ta'méyya consiste in polpettine di pasta di ceci e spezie fritte in olio. La tahina è una pasta di semi di sesamo, olio, aglio e limone. Insieme a qualche mázza (stuzzichini), come l'hómmos (purea di ceci cotti), costituisce un pasto discreto.
Nei chioschi troverete i sandaw-tsh, tipici panini egiziani molto piccoli che contengono minuscoli pezzi di carne, formaggio o bastúrma (carne affumicata). Aggiungetevi della senape per renderli più gustosi. Ci sono poi i panini a base di kébda (fegato), che può essere arrostito, impanato o fritto e servito con peperoncini piccanti e cipolle. Sono molto comuni anche quelli a base di mókhkh, cervella di mucca impanata, e quelli con i gamberetti.
Il consumo di tè e caffè è molto diffuso. Un'altra bevanda comune è l'hómmos esh-sha-m, a base di ceci, salsa di pomodoro, limone e cumino. L'Abu Simbel è un liquore dolce, dal sapore particolare; poiché è ricco di ferro, è considerato un rimedio contro l'anemia.
(Lonelyplanetitalia, www.momblognetwork.com)
La pittura ha fatto parte della vita degli egiziani sin da quando, nel XXIV secolo a.C., furono realizzate le prime decorazioni nella Piramide di Unas, a Saqqara. Ma furono soprattutto i faraoni del Nuovo Regno a voler decorare l'interno delle loro tombe con immagini a vivaci colori del mondo dell'aldilà e della resurrezione. La pittura egiziana contemporanea è stata fortemente influenzata dall'arte occidentale da cui è riuscita a liberarsi soltanto verso la metà di questo secolo. Il paese può ora vantare un numero nutrito di pittori che esprimono un'arte propriamente egiziana tra i quali ricordiamo Gazbia Serri, Inji Eflatoun, Abdel Wahab Morsi, Adel el-Siwi e Wahib Nasser.
Fino a tempi recenti la musica popolare egiziana si riassumeva nella voce onnipresente di Om Kolthum, la 'madre d'Egitto', scomparsa nel 1975, la cui musica e la cui leggenda tuttavia continuano a sopravvivere. Le sue canzoni, che traevano spunto dalla poesia e dall'operetta, rappresentano la musica egiziana più conosciuta in Occidente. Altri musicisti importanti furono Abdel Halim al-Hafez e Mohammed Abd el-Wahaab. La musica contemporanea sta assorbendo un numero sempre crescente di elementi della musica pop occidentale; tra gli esponenti degli stili più recenti ci sono Iheb Tawfik, Mohammed Fouad e Hakim.
Benché l'Egitto sia conosciuto per la danza del ventre, dimenare le anche avanti e indietro come usano fare le professioniste di questo ballo è in genere considerato volgare e segno di promiscuità. In effetti molte danzatrici che si esibiscono nelle località frequentate dai turisti sono europee o americane, perché un comportamento così provocante non è considerato adatto a una donna araba; le danzatrici arabe infatti, per esempio Fifi Abdou, sono sempre accompagnate da guardie del corpo che le proteggono dagli eccessi del fanatismo islamico. Nelle riunioni famigliari invece, ai matrimoni e ai ricevimenti privati, talvolta il ballo è parte dell'intrattenimento.
Naguib Mahfouz ha vinto il Premio Nobel per la letteratura nel 1988 per la sua opera La trilogia del Cairo. Al nome di Mahfouz sono legati 40 romanzi e 30 sceneggiature cinematografiche. Il suo romanzo Il rione dei ragazzi, scritto negli anni '50, è ancora all'indice in Egitto ed è considerato blasfemo da molte persone (nel 1995 il vecchio scrittore ottantatreenne ha subito un attentato la cui ragione è da ricercarsi, sembra, nel contenuto del libro). Altri scrittori importanti sono Tawfiq al-Hakim, Yahya Haqqi e Yusud Idris. La scrittrice egiziana più conosciuta è probabilmente Nawal al-Sa'dawi, sebbene sia più nota all'estero che nel suo paese.
A 140 chilometri dall´oasi di Siwa, sulle sponde di un´antica oasi abbandonata, in prossimità di quello che oggi è il lago salato di Bahrein, una missione archeologica dell'Università degli Studi di Torino ha portato alla luce, nel gennaio 2003, un tempio faraonico - naturalmente danneggiato - dalle pareti ricoperte di bellissimi rilievi dell´ultima dinastia indigena egiziana: la parte più antica dell´edificio fu fatta costruire e decorare dal faraone Nectanebo I circa 2 mila e 400 anni fa (380-360 avanti Cristo).
Usi e Costumi
E' buona norma, nei luoghi pubblici, indossare vesti o pantaloni lunghi e camicie che coprano le braccia.
Nelle moschee è obbligatorio, per le donne, indossare una sorta di mantello per coprirsi e, per tutti, entrare scalzi.
Quando ci si siede per terra bisogna stare attenti a non mostrare la pianta del piede a chi ci sta davanti, perché considerata una grave offesa.
Si consiglia di sedersi a gambe incrociate, o sui talloni (segno di grande rispetto per i beduini).
In Egitto è illegale fotografare edifici governativi, basi militari, posti di controllo di frontiera, ponti, canali, soldati e polizia. Quando si scattano fotografie è meglio evitare di riprendere le persone, perché l'Islam proibisce la riproduzione di esseri umani, quindi al massimo chiedete il permesso.
Non è educato consumare bevande alcoliche per strada, perché il Corano lo proibisce.
Soprattutto durante il Ramadan, è cattiva educazione consumare bibite, cibi e fumare sigarette in pubblico durante il giorno.
In Egitto i piatti principali sono il fu-l e il ta'méyya. Il fu-l è un pasticcio a base di fave a cui vengono aggiunti olio, limone, sale, carne, uova e cipolle per renderlo più gustoso. Il ta'méyya consiste in polpettine di pasta di ceci e spezie fritte in olio. La tahina è una pasta di semi di sesamo, olio, aglio e limone. Insieme a qualche mázza (stuzzichini), come l'hómmos (purea di ceci cotti), costituisce un pasto discreto.
Nei chioschi troverete i sandaw-tsh, tipici panini egiziani molto piccoli che contengono minuscoli pezzi di carne, formaggio o bastúrma (carne affumicata). Aggiungetevi della senape per renderli più gustosi. Ci sono poi i panini a base di kébda (fegato), che può essere arrostito, impanato o fritto e servito con peperoncini piccanti e cipolle. Sono molto comuni anche quelli a base di mókhkh, cervella di mucca impanata, e quelli con i gamberetti.
Il consumo di tè e caffè è molto diffuso. Un'altra bevanda comune è l'hómmos esh-sha-m, a base di ceci, salsa di pomodoro, limone e cumino. L'Abu Simbel è un liquore dolce, dal sapore particolare; poiché è ricco di ferro, è considerato un rimedio contro l'anemia.
(Lonelyplanetitalia, www.momblognetwork.com)
mercoledì 19 maggio 2010
I PIGMEI
I Pigmei sono un gruppo etnico-razziale dell’ Africa equatoriale, vivono nelle regioni forestali di Camerun, Gabon, Repubblica centrafricana , Congo, Ruanda e Repubblica democratica del Congo (ex Zaire). I Pigmei dovevano essere diffusi anche nell’ Africa orientale, come riferiscono alcune leggende. Gli studiosi ritengono che i Pigmei rappresentino il substrato africano preistorico nella vasta area del Sahara centrale, degli altopiani orientali fino all’Atlantico.
Data la vita nomade, i Pigmei costruiscono accampamenti temporanei di capanne ad alveare, erette dalle donne e disposte in circolo. Risiedono in ripari a cupola, fatti con rami d’albero che essi rapidamente intrecciano, ricoprendoli altrettanto rapidamente di foglie. Sono ripari appena sufficienti a proteggere dalle violente piogge equatoriali. Il fumo della brace sempre accesa ricopre di uno strato nero impermeabile la cupola di frasche.
I Pigmei utilizzano solo materiale naturale (pelle, ossa, corna, fibre vegetali). La loro economia è basata sulla caccia, fatta dagli uomini, con le reti e l’arco, e la raccolta fatta dalle donne. Gli uomini si dedicano costantemente alla caccia; le donne alla raccolta (di bacche, radici, mele e piccoli animaletti), alla pesca, alla cottura dei cibi. L’arma tipica è l’arco, ma sono usati anche la clava, l’arpone, la lancia.La caccia all’elefante è fatta in gruppo ma un solo cacciatore cattura l’animale tagliandogli i garretti. Hanno anche acquisito varie usanze dei popoli vicini fra le quali la coltivazione delle piante locali. Alcuni vivono dedicandosi soprattutto alla caccia, all’ allevamento di piccolo bestiame e ad una rudimentale agricoltura con la zappa. Con la selvaggina uccisa con le loro piccole frecce si avvicinano ai villaggi che sorgono nelle radure della boscaglia, si fermano sul limitare della grande foresta e depositano la cacciagione per terra. Quindi si nascondono dietro gli alberi. Attendono che gli abitanti dei villaggi vengano a ritrarre la selvaggina uccisa, lasciando in cambio banane, farina, punte per frecce e lame per lance. Allora escono e prendono la merce. Si compie così una mutua operazione di baratto. L’accensione del fuoco è ottenuto per sfregamento di due bastoncini. La profonda conoscenza delle piante si manifesta in tanti modi: dall’estrazione di veleni per le frecce, all’uso di unguenti che tengano lontani gli insetti, al rifornimento di sale dalle ceneri di certi vegetali.
L’organizzazione sociale si fonda sul raggruppamento di alcune famiglie (quaranta o ottanta persone) sotto l’autorità di un capo, che è il responsabile della caccia e della spartizione rituale degli animali abbattuti; più raggruppamenti costituiscono il clan, che è patrilineare e spazia su un determinato territorio di foresta. Mogli e figli godono di diritti e doveri pari a quelli del capofamiglia. Se un uomo vuole sposare la ragazza di un altro clan occorre che questo dia all’altro gruppo in cambio un’altra ragazza che dovrà andare in sposa ad un uomo del primo gruppo.
Molto ricco è il loro patrimonio culturale: innanzi tutto la tradizione musicale, che ha caratteristiche autonome e originali e si esprime in cori a più voci con l'accompagnamento di tamburi; poi le numerose danze, i miti e le leggende e le poesie sacrali. Il fenomeno dell’arcobaleno appare loro così fantastico, misterioso e bellissimo che i Pigmei lo hanno creduto una manifestazione visibile dell'Essere supremo, Signore del creato, e che tutti venerano. Quando un Pigmeo muore, gli altri credono che la sua anima venga portata via da una mosca in mezzo alla grande foresta, perché l'anima è come un essere minuscolo e leggero che anche una mosca può portare con sé dentro il più fitto intrigo della foresta. Da qui l'anima del defunto spingerà gli animali selvaggi verso i parenti rimasti vivi affinchè essi possano ucciderli e trarne cibo. E’ per questo che i Pigmei cercano, con complessi riti magici, di rendere propizi gli spiriti della caccia. E lo fanno di notte, poco prima che spunti l’alba, danzando lievi, con arco e frecce, tra le capanne del loro villaggio.
(http://web.tiscali.it/mediabrembate)
Data la vita nomade, i Pigmei costruiscono accampamenti temporanei di capanne ad alveare, erette dalle donne e disposte in circolo. Risiedono in ripari a cupola, fatti con rami d’albero che essi rapidamente intrecciano, ricoprendoli altrettanto rapidamente di foglie. Sono ripari appena sufficienti a proteggere dalle violente piogge equatoriali. Il fumo della brace sempre accesa ricopre di uno strato nero impermeabile la cupola di frasche.
I Pigmei utilizzano solo materiale naturale (pelle, ossa, corna, fibre vegetali). La loro economia è basata sulla caccia, fatta dagli uomini, con le reti e l’arco, e la raccolta fatta dalle donne. Gli uomini si dedicano costantemente alla caccia; le donne alla raccolta (di bacche, radici, mele e piccoli animaletti), alla pesca, alla cottura dei cibi. L’arma tipica è l’arco, ma sono usati anche la clava, l’arpone, la lancia.La caccia all’elefante è fatta in gruppo ma un solo cacciatore cattura l’animale tagliandogli i garretti. Hanno anche acquisito varie usanze dei popoli vicini fra le quali la coltivazione delle piante locali. Alcuni vivono dedicandosi soprattutto alla caccia, all’ allevamento di piccolo bestiame e ad una rudimentale agricoltura con la zappa. Con la selvaggina uccisa con le loro piccole frecce si avvicinano ai villaggi che sorgono nelle radure della boscaglia, si fermano sul limitare della grande foresta e depositano la cacciagione per terra. Quindi si nascondono dietro gli alberi. Attendono che gli abitanti dei villaggi vengano a ritrarre la selvaggina uccisa, lasciando in cambio banane, farina, punte per frecce e lame per lance. Allora escono e prendono la merce. Si compie così una mutua operazione di baratto. L’accensione del fuoco è ottenuto per sfregamento di due bastoncini. La profonda conoscenza delle piante si manifesta in tanti modi: dall’estrazione di veleni per le frecce, all’uso di unguenti che tengano lontani gli insetti, al rifornimento di sale dalle ceneri di certi vegetali.
L’organizzazione sociale si fonda sul raggruppamento di alcune famiglie (quaranta o ottanta persone) sotto l’autorità di un capo, che è il responsabile della caccia e della spartizione rituale degli animali abbattuti; più raggruppamenti costituiscono il clan, che è patrilineare e spazia su un determinato territorio di foresta. Mogli e figli godono di diritti e doveri pari a quelli del capofamiglia. Se un uomo vuole sposare la ragazza di un altro clan occorre che questo dia all’altro gruppo in cambio un’altra ragazza che dovrà andare in sposa ad un uomo del primo gruppo.
Molto ricco è il loro patrimonio culturale: innanzi tutto la tradizione musicale, che ha caratteristiche autonome e originali e si esprime in cori a più voci con l'accompagnamento di tamburi; poi le numerose danze, i miti e le leggende e le poesie sacrali. Il fenomeno dell’arcobaleno appare loro così fantastico, misterioso e bellissimo che i Pigmei lo hanno creduto una manifestazione visibile dell'Essere supremo, Signore del creato, e che tutti venerano. Quando un Pigmeo muore, gli altri credono che la sua anima venga portata via da una mosca in mezzo alla grande foresta, perché l'anima è come un essere minuscolo e leggero che anche una mosca può portare con sé dentro il più fitto intrigo della foresta. Da qui l'anima del defunto spingerà gli animali selvaggi verso i parenti rimasti vivi affinchè essi possano ucciderli e trarne cibo. E’ per questo che i Pigmei cercano, con complessi riti magici, di rendere propizi gli spiriti della caccia. E lo fanno di notte, poco prima che spunti l’alba, danzando lievi, con arco e frecce, tra le capanne del loro villaggio.
(http://web.tiscali.it/mediabrembate)
domenica 16 maggio 2010
Marocco, cultura e tradizioni
Partendo dal modello della cultura araba classica, il Marocco ha elaborato un intricato mosaico di tradizioni artistiche tenute insieme da un filo conduttore, la musica, che spazia dallo stile nato nella Spagna musulmana alle tradizioni dei cantastorie berberi passando per la fusione contemporanea di musiche africane e francesi, pop e rock. Il rai (opinione) è originario dell'Algeria ma si sta affermando anche in Marocco; nonostante i suoi ritmi arabo-africani (deve molto alla musica beduina), è probabilmente la musica maggiormente influenzata dagli stili occidentali e unisce vari strumenti elettrici per creare un effetto ipnotico.
La presenza dell'Islam ha fatto sì che in Marocco la danza si sia mantenuta lontana dagli aspetti eccessivi che caratterizzano quest'arte in molte altre nazioni africane (in teoria le donne musulmane non possono danzare); l'antica danza berbera in cerchio chiamata 'ahidous', per esempio, viene eseguita ancora oggi, ma grazie al cielo senza la decapitazione dei polli.
Un altro elemento fondamentale della cultura marocchina è l'artigianato. Le maroquinerie (articoli in pelle) erano molto apprezzate dai mercanti già nel XVI secolo. Molto importanti sono anche la produzione dei tappeti, delle ceramiche, dei gioielli, degli oggetti in ottone e la lavorazione del legno.
I pannelli scolpiti e dipinti sono molto diffusi per la decorazione degli interni e gli intricati motivi creati dalle mattonelle abbelliscono ancora oggi varie mederse e altri edifici religiosi nonché le case dei marocchini benestanti. Vengono ancora utilizzati anche i mashrabiyya, che consentono alle donne musulmane di osservare quello che accade nelle vie senza essere viste. Questi oggetti non sono certamente indicati come souvenir, ma ciò dimostra come l'artigianato marocchino non dipenda interamente dal turismo.
Il Marocco è stato fonte di ispirazione per molti artisti stranieri. Il pittore francese Eugene Delacroix ha dipinto molti quadri ispirandosi al Marocco, visitato negli anni '30 del XIX secolo; a partire da questo momento i suoi quadri presentano scorci di mercati marocchini e scene di vita negli harem. Un secolo dopo la stessa passione travolse anche Hollywood: prima venne Marlene Dietrich con Marocco, quindi, nel 1942 quello che è poi diventato un classico, Casablanca. Quando Peter O'Toole girava per il Marocco nelle vesti di Lawrence d'Arabia, il paese era ormai diventato oggetto delle fantasie dei figli del baby boom.
L'arabo parlato dai marocchini ('darija') è molto diverso da quello parlato nel Medio Oriente. Nelle campagne e in particolare nelle zone montuose vengono parlati vari dialetti berberi. In Marocco lo stile di vita islamico è seguito in maniera meno rigida che altrove, ma anche qui le donne occupano un ruolo subordinato agli uomini. Di norma, solo nelle grandi città si riscontra una certa mescolanza dei sessi e si affermano mode nuove.
Il piatto nazionale è il 'couscous', semola finemente macinata e cotta che di solito accompagna uno stufato di agnello e verdure. Viene servito con una salsa molto piccante chiamata 'harissa'. Un altro piatto molto diffuso è la 'tajine', un ottimo stufato di carne e verdure aromatizzato con erbe e spezie; prende il nome dal contenitore in cui cuoce, un basso piatto di terracotta con un alto coperchio di forma conica. Ne esistono innumerevoli varianti: alcune sono molto semplici, mentre in altre si aggiungono olive o uova, prugne e mandorle o altra frutta secca.
Una specialità berbera è lo 'm'choui', un agnello intero arrostito all'aperto e condito con zafferano e peperoncino; di solito con il cuore e il fegato si preparano degli spiedini. Spesso viene cucinato in occasione delle feste.
Il miglior piatto marocchino è forse la pastilla ('bastaila' in arabo): si tratta di un miscuglio composto da carne di piccione, uova aromatizzate al limone, mandorle, cannella, zafferano e zucchero, il tutto racchiuso in diversi strati di una sfoglia detta ouarka. È molto diffusa a Fès.
Lungo la costa troverete buon pesce fresco. Vi verranno offerti sardine, sogliole, spigole, gamberi, calamari, ostriche, cozze e talvolta aragoste.
Un pasto marocchino non è completo senza il pane fresco, 'il sostegno della vita'. Nelle zone di campagna si fa colazione con qualche fetta di pane immersa nell'olio di oliva, accompagnata con tè alla menta dolce e caldo. Un'ottima alternativa è il pane inzuppato nell'olio di argan o di mandorla. Nelle case berbere talvolta il pane viene servito insieme a una ciotola di olio e miele.
Due dolci famosi sono le 'kaab el ghzal' (corna di gazzella), paste a forma di mezzaluna farcite con una delicata pasta di mandorle e coperte di glassa di zucchero, e le m'hancha (spire di serpente), paste piatte e rotonde cotte in forno, farcite con mandorle e coperte di glassa e cannella.
La bevanda nazionale del Marocco è il tè alla menta ('atay' in arabo), preparato con tè verde cinese, rametti di menta fresca ('nanaa') e molto zucchero. I marocchini lo adorano e lo bevono ogni qualvolta ne hanno l'occasione.
La presenza dell'Islam ha fatto sì che in Marocco la danza si sia mantenuta lontana dagli aspetti eccessivi che caratterizzano quest'arte in molte altre nazioni africane (in teoria le donne musulmane non possono danzare); l'antica danza berbera in cerchio chiamata 'ahidous', per esempio, viene eseguita ancora oggi, ma grazie al cielo senza la decapitazione dei polli.
Un altro elemento fondamentale della cultura marocchina è l'artigianato. Le maroquinerie (articoli in pelle) erano molto apprezzate dai mercanti già nel XVI secolo. Molto importanti sono anche la produzione dei tappeti, delle ceramiche, dei gioielli, degli oggetti in ottone e la lavorazione del legno.
I pannelli scolpiti e dipinti sono molto diffusi per la decorazione degli interni e gli intricati motivi creati dalle mattonelle abbelliscono ancora oggi varie mederse e altri edifici religiosi nonché le case dei marocchini benestanti. Vengono ancora utilizzati anche i mashrabiyya, che consentono alle donne musulmane di osservare quello che accade nelle vie senza essere viste. Questi oggetti non sono certamente indicati come souvenir, ma ciò dimostra come l'artigianato marocchino non dipenda interamente dal turismo.
Il Marocco è stato fonte di ispirazione per molti artisti stranieri. Il pittore francese Eugene Delacroix ha dipinto molti quadri ispirandosi al Marocco, visitato negli anni '30 del XIX secolo; a partire da questo momento i suoi quadri presentano scorci di mercati marocchini e scene di vita negli harem. Un secolo dopo la stessa passione travolse anche Hollywood: prima venne Marlene Dietrich con Marocco, quindi, nel 1942 quello che è poi diventato un classico, Casablanca. Quando Peter O'Toole girava per il Marocco nelle vesti di Lawrence d'Arabia, il paese era ormai diventato oggetto delle fantasie dei figli del baby boom.
L'arabo parlato dai marocchini ('darija') è molto diverso da quello parlato nel Medio Oriente. Nelle campagne e in particolare nelle zone montuose vengono parlati vari dialetti berberi. In Marocco lo stile di vita islamico è seguito in maniera meno rigida che altrove, ma anche qui le donne occupano un ruolo subordinato agli uomini. Di norma, solo nelle grandi città si riscontra una certa mescolanza dei sessi e si affermano mode nuove.
Il piatto nazionale è il 'couscous', semola finemente macinata e cotta che di solito accompagna uno stufato di agnello e verdure. Viene servito con una salsa molto piccante chiamata 'harissa'. Un altro piatto molto diffuso è la 'tajine', un ottimo stufato di carne e verdure aromatizzato con erbe e spezie; prende il nome dal contenitore in cui cuoce, un basso piatto di terracotta con un alto coperchio di forma conica. Ne esistono innumerevoli varianti: alcune sono molto semplici, mentre in altre si aggiungono olive o uova, prugne e mandorle o altra frutta secca.
Una specialità berbera è lo 'm'choui', un agnello intero arrostito all'aperto e condito con zafferano e peperoncino; di solito con il cuore e il fegato si preparano degli spiedini. Spesso viene cucinato in occasione delle feste.
Il miglior piatto marocchino è forse la pastilla ('bastaila' in arabo): si tratta di un miscuglio composto da carne di piccione, uova aromatizzate al limone, mandorle, cannella, zafferano e zucchero, il tutto racchiuso in diversi strati di una sfoglia detta ouarka. È molto diffusa a Fès.
Lungo la costa troverete buon pesce fresco. Vi verranno offerti sardine, sogliole, spigole, gamberi, calamari, ostriche, cozze e talvolta aragoste.
Un pasto marocchino non è completo senza il pane fresco, 'il sostegno della vita'. Nelle zone di campagna si fa colazione con qualche fetta di pane immersa nell'olio di oliva, accompagnata con tè alla menta dolce e caldo. Un'ottima alternativa è il pane inzuppato nell'olio di argan o di mandorla. Nelle case berbere talvolta il pane viene servito insieme a una ciotola di olio e miele.
Due dolci famosi sono le 'kaab el ghzal' (corna di gazzella), paste a forma di mezzaluna farcite con una delicata pasta di mandorle e coperte di glassa di zucchero, e le m'hancha (spire di serpente), paste piatte e rotonde cotte in forno, farcite con mandorle e coperte di glassa e cannella.
La bevanda nazionale del Marocco è il tè alla menta ('atay' in arabo), preparato con tè verde cinese, rametti di menta fresca ('nanaa') e molto zucchero. I marocchini lo adorano e lo bevono ogni qualvolta ne hanno l'occasione.
sabato 15 maggio 2010
HUTU e TUTSI - Ruanda, Burundi
La questione dell'origine dei popoli Hutu e Tutsi è un problema centrale nello studio della storia del Ruanda e, in generale, della Regione dei Grandi Laghi africani. In Ruanda, gli Hutu rappresentano la maggioranza etnica, ma i Tutsi costituiscono l'élite economica e sociale. Tradizionalmente, i Tutsi sono stati identificati come i discendenti di un popolo distinto (anche geneticamente), giunto nella regione in tempi successivi e impostosi sulle popolazioni indigene; il Corno d'Africa viene spesso indicato come possibile area d'origine di questa migrazione.
La rivalità fra questi due gruppi ha avuto la sua espressione più evidente nel genocidio ruandese del 1994, che ebbe in parte le caratteristiche di un'operazione di pulizia etnica perpretrata dagli Hutu ai danni dei Tutsi. Nonostante la diffusione dell'idea di Hutu e Tutsi come etnie distinte con origini diverse, non vi sono prove conclusive a conferma di questa tesi.
L'idea di una differenza di tipo razziale fra gli Hutu e i Tutsi è legata al primo colonialismo belga in Africa. I coloni belgi si basarono sulla semplice osservazione dell'aspetto fisico degli appartenenti ai diversi gruppi. Essi osservarono che i Twa (un terzo gruppo etnico dell'area) erano di bassa statura (come i pigmei), gli Hutu erano di media altezza, e i Tutsi erano molto alti e snelli. Inoltre, i Tutsi tendono ad avere il naso, e l'intero volto, più sottile. Studi statistici successivi confermarono queste differenze. All'inizio del XX secolo, un antropologo tedesco quantificò in circa 12 cm la differenza media di altezza fra Hutu e Tutsi; nel 1974, Jean Hiernaux riportò 10 cm di differenza media.
La tesi della differenza di origine di Hutu e Tutsi fu cavalcata dai pensatori razzisti che identificavano nella razza caucasica la forza civilizzatrice del mondo. A corollario di questa tesi, si ipotizzò che un regno strutturato e complesso come quello del Ruanda, al tempo dei primi contatti con gli Europei, potesse essere stato creato solo da un popolo di razza hamitica, ovvero di pelle nera ma originariamente affine ai caucasici, giunto nell'Africa subsahariana da nord, attraverso l'Egitto e il Corno d'Africa (soprattutto l'Etiopia). Si delineò di conseguenza la tesi secondo cui gli hamitici Tutsi avrebbero colonizzato la terra degli indigeni Hutu e Twa in epoche remote, imponendosi sulle popolazioni locali in virtù della loro instrinseca superiorità.
Negli ultimi decenni del XX secolo, nuovi elementi nel dibattito sulle origini di Hutu e Tutsi sono stati portati dall'analisi della diffusione nei due gruppi di tratti riconducibili a fattori genetici, come l'anemia drepanocitica e l'intolleranza al lattosio. Un articolo pubblicato nello Yearbook of Physical Anthropology, nel 1987, sosteneva che le ricerche di questo tipo conducevano alla conclusione che i Tutsi effettivamente non avessero le stesse origini bantu degli Hutu e di altri popoli della regione. L'anemia drepanocitica, associata all'esposizione prolungata alla malaria, è diffusa nella popolazione Hutu ma non in quella Tutsi. Analogamente, la tolleranza del lattosio (tratto tipico delle popolazioni che hanno allevato bovini per millenni) è molto più diffusa fra i Tutsi che fra gli Hutu.
Queste differenze, tuttavia, non sono considerate da tutti gli studiosi come una prova conclusiva di una migrazione dei Tutsi da altre regioni dell'Africa. Esse possono essere lette come la conseguenza di un fenomeno di microevoluzione relativo a stili di vita e alimentazioni diversi su periodi di tempo prolungati. A sua volta, non si può escludere che questa diversificazione sia stata causata dall'esposizione di parte della popolazione a influssi culturali provenienti dall'esterno, anziché da veri e propri fenomeni migratori.
Hutu e Tutsi oggi
Qualunque sia l'origine delle differenze fenotipiche e genetiche fra Hutu e Tutsi, i matrimoni misti sono sempre stati una pratica diffusa; di conseguenza, è praticamente impossibile sostenere l'appartenenza esclusiva di un qualunque individuo all'uno o all'altro gruppo. Il continuo interscambio è anche legato al fatto che sebbene i Tutsi possano essere identificati come il gruppo economicamente e socialmente dominante, esistono anche casi di Hutu ricchi e potenti e di Tutsi poveri. La guerra civile degli anni novanta ha contribuito a evidenziare la necessità di integrazione fra i due gruppi, che oggi è considerato una priorità culturale da parte di molti ruandesi.
(Wikipdia)
La rivalità fra questi due gruppi ha avuto la sua espressione più evidente nel genocidio ruandese del 1994, che ebbe in parte le caratteristiche di un'operazione di pulizia etnica perpretrata dagli Hutu ai danni dei Tutsi. Nonostante la diffusione dell'idea di Hutu e Tutsi come etnie distinte con origini diverse, non vi sono prove conclusive a conferma di questa tesi.
L'idea di una differenza di tipo razziale fra gli Hutu e i Tutsi è legata al primo colonialismo belga in Africa. I coloni belgi si basarono sulla semplice osservazione dell'aspetto fisico degli appartenenti ai diversi gruppi. Essi osservarono che i Twa (un terzo gruppo etnico dell'area) erano di bassa statura (come i pigmei), gli Hutu erano di media altezza, e i Tutsi erano molto alti e snelli. Inoltre, i Tutsi tendono ad avere il naso, e l'intero volto, più sottile. Studi statistici successivi confermarono queste differenze. All'inizio del XX secolo, un antropologo tedesco quantificò in circa 12 cm la differenza media di altezza fra Hutu e Tutsi; nel 1974, Jean Hiernaux riportò 10 cm di differenza media.
La tesi della differenza di origine di Hutu e Tutsi fu cavalcata dai pensatori razzisti che identificavano nella razza caucasica la forza civilizzatrice del mondo. A corollario di questa tesi, si ipotizzò che un regno strutturato e complesso come quello del Ruanda, al tempo dei primi contatti con gli Europei, potesse essere stato creato solo da un popolo di razza hamitica, ovvero di pelle nera ma originariamente affine ai caucasici, giunto nell'Africa subsahariana da nord, attraverso l'Egitto e il Corno d'Africa (soprattutto l'Etiopia). Si delineò di conseguenza la tesi secondo cui gli hamitici Tutsi avrebbero colonizzato la terra degli indigeni Hutu e Twa in epoche remote, imponendosi sulle popolazioni locali in virtù della loro instrinseca superiorità.
Negli ultimi decenni del XX secolo, nuovi elementi nel dibattito sulle origini di Hutu e Tutsi sono stati portati dall'analisi della diffusione nei due gruppi di tratti riconducibili a fattori genetici, come l'anemia drepanocitica e l'intolleranza al lattosio. Un articolo pubblicato nello Yearbook of Physical Anthropology, nel 1987, sosteneva che le ricerche di questo tipo conducevano alla conclusione che i Tutsi effettivamente non avessero le stesse origini bantu degli Hutu e di altri popoli della regione. L'anemia drepanocitica, associata all'esposizione prolungata alla malaria, è diffusa nella popolazione Hutu ma non in quella Tutsi. Analogamente, la tolleranza del lattosio (tratto tipico delle popolazioni che hanno allevato bovini per millenni) è molto più diffusa fra i Tutsi che fra gli Hutu.
Queste differenze, tuttavia, non sono considerate da tutti gli studiosi come una prova conclusiva di una migrazione dei Tutsi da altre regioni dell'Africa. Esse possono essere lette come la conseguenza di un fenomeno di microevoluzione relativo a stili di vita e alimentazioni diversi su periodi di tempo prolungati. A sua volta, non si può escludere che questa diversificazione sia stata causata dall'esposizione di parte della popolazione a influssi culturali provenienti dall'esterno, anziché da veri e propri fenomeni migratori.
Hutu e Tutsi oggi
Qualunque sia l'origine delle differenze fenotipiche e genetiche fra Hutu e Tutsi, i matrimoni misti sono sempre stati una pratica diffusa; di conseguenza, è praticamente impossibile sostenere l'appartenenza esclusiva di un qualunque individuo all'uno o all'altro gruppo. Il continuo interscambio è anche legato al fatto che sebbene i Tutsi possano essere identificati come il gruppo economicamente e socialmente dominante, esistono anche casi di Hutu ricchi e potenti e di Tutsi poveri. La guerra civile degli anni novanta ha contribuito a evidenziare la necessità di integrazione fra i due gruppi, che oggi è considerato una priorità culturale da parte di molti ruandesi.
(Wikipdia)
giovedì 13 maggio 2010
La Tribù di Zulu, Sud Africa
Occhi luminosi e sinceri, volti dipinti per proteggersi dal sole, i bambini sulle spalle, un approccio alla vita semplice e autentico: benvenuti nella terra dei combattenti.
Gli Zulu sono l'etnia più numerosa che popola il continente sudafricano. Questa tribù ricca di storia ebbe fortuna politica e militare agli inizi dell'XI secolo. Gli Zulu appartengono alla ben più ampia nazione Ngoni, sono oggi circa 11 milioni e si trovano principalmente nell'area della provincia di KwaZulu-Natal in Sudafrica. Parlano lo isiZulu, una lingua bantu appartenente al sottogruppo nguni. Il loro nome deriva da amazulus, che in isiZulu significa "gente del cielo".
Il Regno degli Zulu svolse un ruolo determinante nella storia del Sudafrica del XIX secolo. Durante il regime dell'apartheid, venivano considerati come cittadini di livello inferiore; oggi sono il gruppo etnico più consistente del Paese e godono degli stessi diritti degli altri cittadini sudafricani. In passato questo straordinario popolo guerriero ha sorpreso e terrificato interi eserciti. Nel "triangolo zulu", nelle regioni di Eshowe, Vryheid et Ladysmith, è possibile percorrere la "strada delle battaglie" sulle tracce, ancora numerose, dei conflitti contro boeri ed inglesi.
Gli Zulu praticano la poligamia e hanno una religione animistica, che si basa sulla sopravvivenza dello spirito dopo la morte e sul culto degli antenati. Gli spiriti familiari possono infatti intervenire nella vita di ognuno, cancellando le malattie e i dolori oppure infliggendo punizioni: a loro ci si rivolge con l'aiuto degli indovini e del Sangoma, una figura mistica, in genere una donna, legata alla medicina tradizionale e alla superstizione popolare. Profonda conoscitrice dell'animo umano e molto rispettata dalle comunità, il Sangoma legge il passato e il presente, comunica con gli spiriti, usando radici, erbe, cortecce, pelli di serpente.
Nei loro villaggi gli Zulu vivono in tradizionali capanne ad alveare disposte circolarmente in stanziamenti detti kraal. Questi casotti a forma circolare, sono spesso circondati da una protezione di rami e tronchi.
Chi arriva in un villaggio zulu deve cimentarsi in una stretta di mano a tre fasi con i componenti della tribù, secondo le usanze tradizionali. Poi, c'è la cerimonia di benvenuto con l'offerta della birra di sorgo all'interno di una piccola zucca scavata. Rifiutarla significa respingere l'ospitalità. In queste cerimonie gli uomini indossano un gonnellino frontale di pelle d'animale, con gambali e bracciali di pelliccia, e brandiscono scudo e lancia, come ai tempi delle guerre di espansione.
Le ragioni dell'imponente presenza in questa parte dell'Africa degli zulu, vanno ricercate in un fenomeno storico ben preciso che si collega alle mire espansionistiche del re Shaka, figlio ripudiato di un sovrano. Allevato presso una tribù del clan materno, sviluppò doti da guerriero e divenne uno dei capi dell'esercito alla morte del padre. Cominciò così la sua politica militare di espansione. Nel 1800 gli Zulu, sotto la guida del loro bellicoso re arrivarono ad estendere la propria area di dominazione ad un vastissimo territorio del Sudafrica. Alternativamente vinti e vincitori di sanguinose battaglie contro Boeri ed Inglesi, questo popolo fiero e ribelle mantenne a lungo la propria indipendenza, sino alla definitiva resa alle truppe britanniche. Ancora oggi gli Zulu, in onore e ricordo del re Shaka e delle sue conquiste, celebrano ogni anno il Shaka Day.
(http://www.latalpa.mediaset.it)
Gli Zulu sono l'etnia più numerosa che popola il continente sudafricano. Questa tribù ricca di storia ebbe fortuna politica e militare agli inizi dell'XI secolo. Gli Zulu appartengono alla ben più ampia nazione Ngoni, sono oggi circa 11 milioni e si trovano principalmente nell'area della provincia di KwaZulu-Natal in Sudafrica. Parlano lo isiZulu, una lingua bantu appartenente al sottogruppo nguni. Il loro nome deriva da amazulus, che in isiZulu significa "gente del cielo".
Il Regno degli Zulu svolse un ruolo determinante nella storia del Sudafrica del XIX secolo. Durante il regime dell'apartheid, venivano considerati come cittadini di livello inferiore; oggi sono il gruppo etnico più consistente del Paese e godono degli stessi diritti degli altri cittadini sudafricani. In passato questo straordinario popolo guerriero ha sorpreso e terrificato interi eserciti. Nel "triangolo zulu", nelle regioni di Eshowe, Vryheid et Ladysmith, è possibile percorrere la "strada delle battaglie" sulle tracce, ancora numerose, dei conflitti contro boeri ed inglesi.
Gli Zulu praticano la poligamia e hanno una religione animistica, che si basa sulla sopravvivenza dello spirito dopo la morte e sul culto degli antenati. Gli spiriti familiari possono infatti intervenire nella vita di ognuno, cancellando le malattie e i dolori oppure infliggendo punizioni: a loro ci si rivolge con l'aiuto degli indovini e del Sangoma, una figura mistica, in genere una donna, legata alla medicina tradizionale e alla superstizione popolare. Profonda conoscitrice dell'animo umano e molto rispettata dalle comunità, il Sangoma legge il passato e il presente, comunica con gli spiriti, usando radici, erbe, cortecce, pelli di serpente.
Nei loro villaggi gli Zulu vivono in tradizionali capanne ad alveare disposte circolarmente in stanziamenti detti kraal. Questi casotti a forma circolare, sono spesso circondati da una protezione di rami e tronchi.
Chi arriva in un villaggio zulu deve cimentarsi in una stretta di mano a tre fasi con i componenti della tribù, secondo le usanze tradizionali. Poi, c'è la cerimonia di benvenuto con l'offerta della birra di sorgo all'interno di una piccola zucca scavata. Rifiutarla significa respingere l'ospitalità. In queste cerimonie gli uomini indossano un gonnellino frontale di pelle d'animale, con gambali e bracciali di pelliccia, e brandiscono scudo e lancia, come ai tempi delle guerre di espansione.
Le ragioni dell'imponente presenza in questa parte dell'Africa degli zulu, vanno ricercate in un fenomeno storico ben preciso che si collega alle mire espansionistiche del re Shaka, figlio ripudiato di un sovrano. Allevato presso una tribù del clan materno, sviluppò doti da guerriero e divenne uno dei capi dell'esercito alla morte del padre. Cominciò così la sua politica militare di espansione. Nel 1800 gli Zulu, sotto la guida del loro bellicoso re arrivarono ad estendere la propria area di dominazione ad un vastissimo territorio del Sudafrica. Alternativamente vinti e vincitori di sanguinose battaglie contro Boeri ed Inglesi, questo popolo fiero e ribelle mantenne a lungo la propria indipendenza, sino alla definitiva resa alle truppe britanniche. Ancora oggi gli Zulu, in onore e ricordo del re Shaka e delle sue conquiste, celebrano ogni anno il Shaka Day.
(http://www.latalpa.mediaset.it)
giovedì 6 maggio 2010
Muore il Presidente della Nigeria...
Suo successore ad interm Jonathan assumerà oggi pieni poteri
Abuja, 6 mag. (Apcom) - Il presidente della Nigeria Umaru Yar'Adua è morto ieri a 58 anni per gravi problemi cardiaci dopo essere scomparso della scena politica nello scorso mese di novembre. "È vero che il presidente è deceduto", ha confermato Segun Adeneyi, il portavoce della presidenza. Ieri notte, il presidente ad interim Goodluck Jonathan, che ha assunto l'incarico il 9 febbraio, aveva riunito il governo per discutere i dettagli della sepoltura del capo dello Stato, prevista per oggi, non appena possibile, secondo la tradizione islamica. Yar'Adua sarà sepolto nello stato di Katsina, nel nord del paese, suo luogo di origine, ha dichiarato il portavoce del presidente ad interim, Ima Niboro. Le autorità locali hanno decretato sette giorni di lutto nazionale, mentre per domani è stata decisa una giornata di 'ferie'. Jonathan, che presterà giuramento già oggi per diventare presidente con pieni poteri, ha accolto la notizia con "choc e tristezza". "La nazione è in lutto e sono sicuro che tutto il mondo è in lutto con noi questa sera", ha dichiarato appena ricevuta la notizia della morte di Yar'Adua. Il presidente americano Barack Obama ha espresso il suo cordoglio. "Ci ricorderemo con rispetto dell'integrità personale profonda del presidente Yar'Adua e del suo impegno profondo per il servizio pubblico, come pure della sua fiducia appassionata nel potenziale immenso e nel luminoso futuro di 150 milioni di nigeriani", ha detto in particolare Obama. Umaru Yar'Adua era stato eletto nel 2007 ed era succeduto a Olusegun Obasanjo, che lo aveva designato come suo successore in seno al Partito Democratico del Popolo. Malato da mesi, era stato ricoverato a novembre in Arabia Saudita prima di fare ritorno in incognito nel suo paese il 24 febbraio scorso. Le sue condizioni di salute sono state tenute sotto stretto silenzio al punto che lo stesso Jonathan aveva ammesso di non essere stato autorizzato a recargli visita. (fonte Afp)
sabato 1 maggio 2010
Senegal: Cultura, Storia....
Così come molte altre tribù africane, anche il principale gruppo indigeno dei wolof ha una società estremamente stratificata, in cui il grado sociale è determinato dalla nascita. In alto nella gerarchia stanno le famiglie dei nobili e dei guerrieri, seguite dagli agricoltori, dai commercianti e dai lavoratori appartenenti alle varie caste - fabbri, artigiani della pelle e del legno, tessitori e griots. I griots rappresentano la casta inferiore, ma godono comunque di grande considerazione, in quanto spetta a loro tramandare ai posteri le tradizioni orali: generalmente, sono infatti i soli a poter narrare la storia della famiglia e del villaggio e un tempo intrattenevano le famiglie reali. Anche oggi, se sarete così fortunati da assistere a un kora, vedrete recitare un attore che quasi certamente apparterrà a una famiglia griot. Gli schiavi occupavano il gradino più basso della scala sociale e, benché la schiavitù sia stata da tempo abolita, molti loro discendenti lavorano ancora come fittavoli per gli antichi padroni.
Oltre l'80% della popolazione senegalese è di religione musulmana, comprese le etnie wolof, toucouleur e mandinka, mentre i fulani, o peul, e i diola sono tradizionalmente animisti e molti sérer si sono convertiti al cattolicesimo. Una delle differenze fondamentali tra l'islam ortodosso e la versione praticata in Senegal è l'atteggiamento deferente previsto da quest'ultima per i Grand Caliphs, o marabout (uomini santi), che vengono considerati il tramite tra i fedeli e Allah: poche persone, infatti, si azzardano a prendere una decisione importante senza consultare il Grand Marabout della loro comunità.
Il francese è la lingua ufficiale del Senegal, mentre il wolof è il principale idioma di origine africana parlato nel paese. I toucouleur e i fulani parlano il pulaar (detto anche fula), mentre i sérer utilizzano una lingua loro omonima. Anche le espressioni arabe sono ampiamente diffuse, la qual cosa può essere utile per il turista.
La musica senegalese si può suddividere in due generi principali: il tradizionale e il moderno. Le attuali pop star basano il loro repertorio su suoni e ritmi tradizionali e sono diventate famosissime in Africa. Il padre della moderna musica senegalese è Ibra Kassé, che ha fondato nei primi anni '60 la Star Band de Dakar. Il più famoso dei musicisti moderni è invece Youssou N'dour, che abbina la tradizionale musica mbalax con il pop, il rock e il soul occidentali ed è seguito da un pubblico internazionale. Touré Kounda è un altro esponente di fama mondiale della musica mbalax, mentre Baaba Maal, un peul originario del Senegal settentrionale, canta nella lingua nativa e ha un sound più tipicamente 'africano'.
Per quanto riguarda la cucina, quella senegalese è generalmente molto buona. Tra le varie specialità regionali ricordiamo il poulet (pollo) e il poisson (pesce) yassa, marinati e cotti alla griglia; il mafé, uno stufato a base di arachidi; la tiéboudienne, riso cotto in salsa di pesce e verdure. Uno spuntino che si trova spesso è il chawarma, piatto 'importato' dal Libano: si tratta di carne alla griglia servita con una focaccia e con insalata e salsa al sesamo. Anche la birra senegalese è buona: la Gazelle e la Flag sono le marche più note. Le bevande fredde tipiche del Senegal sono la birra aromatizzata al ginger e il famoso bisap, di color porpora, fatto con le foglie di ibisco.
(Yahoo viaggi - lonely planet)
PS: per altre informazioni sulle popolazioni Senegalesi, si consiglia di vedere anche: http://www.insenegal.org/03Popolazione/PopolazioneSenegal.htm
Oltre l'80% della popolazione senegalese è di religione musulmana, comprese le etnie wolof, toucouleur e mandinka, mentre i fulani, o peul, e i diola sono tradizionalmente animisti e molti sérer si sono convertiti al cattolicesimo. Una delle differenze fondamentali tra l'islam ortodosso e la versione praticata in Senegal è l'atteggiamento deferente previsto da quest'ultima per i Grand Caliphs, o marabout (uomini santi), che vengono considerati il tramite tra i fedeli e Allah: poche persone, infatti, si azzardano a prendere una decisione importante senza consultare il Grand Marabout della loro comunità.
Il francese è la lingua ufficiale del Senegal, mentre il wolof è il principale idioma di origine africana parlato nel paese. I toucouleur e i fulani parlano il pulaar (detto anche fula), mentre i sérer utilizzano una lingua loro omonima. Anche le espressioni arabe sono ampiamente diffuse, la qual cosa può essere utile per il turista.
La musica senegalese si può suddividere in due generi principali: il tradizionale e il moderno. Le attuali pop star basano il loro repertorio su suoni e ritmi tradizionali e sono diventate famosissime in Africa. Il padre della moderna musica senegalese è Ibra Kassé, che ha fondato nei primi anni '60 la Star Band de Dakar. Il più famoso dei musicisti moderni è invece Youssou N'dour, che abbina la tradizionale musica mbalax con il pop, il rock e il soul occidentali ed è seguito da un pubblico internazionale. Touré Kounda è un altro esponente di fama mondiale della musica mbalax, mentre Baaba Maal, un peul originario del Senegal settentrionale, canta nella lingua nativa e ha un sound più tipicamente 'africano'.
Per quanto riguarda la cucina, quella senegalese è generalmente molto buona. Tra le varie specialità regionali ricordiamo il poulet (pollo) e il poisson (pesce) yassa, marinati e cotti alla griglia; il mafé, uno stufato a base di arachidi; la tiéboudienne, riso cotto in salsa di pesce e verdure. Uno spuntino che si trova spesso è il chawarma, piatto 'importato' dal Libano: si tratta di carne alla griglia servita con una focaccia e con insalata e salsa al sesamo. Anche la birra senegalese è buona: la Gazelle e la Flag sono le marche più note. Le bevande fredde tipiche del Senegal sono la birra aromatizzata al ginger e il famoso bisap, di color porpora, fatto con le foglie di ibisco.
(Yahoo viaggi - lonely planet)
PS: per altre informazioni sulle popolazioni Senegalesi, si consiglia di vedere anche: http://www.insenegal.org/03Popolazione/PopolazioneSenegal.htm
Buon 1° Maggio a tutti.....
A te che sei speciale
In quanto Lavoratrice
La tua esperienza e intelligenza
la tua serietà e instancabilità
oggi sono fonti di sapere e cultura
per l'intero paese, l'intero mondo
In quanto Figlia
Sei ormai diventata l'unico bastone
su cui appoggiano quattro mani
Sei l'unica speranza e garanzia
per la serenità dei tuoi vecchietti
In quanto Madre
Hai messo al mondo un angelo
e sei diventata un angelo custode
Lo stai già dando tutto di te
eppure vuoi dare sempre di più
In quanto Donna
La tua semplicità e fascino
conquisterebbe qualsiasi uomo
Fortunato è l'uomo accanto a te
ed è per questo che ti voglio ttb!
Blessing Sunday Osuchukwu
In quanto Lavoratrice
La tua esperienza e intelligenza
la tua serietà e instancabilità
oggi sono fonti di sapere e cultura
per l'intero paese, l'intero mondo
In quanto Figlia
Sei ormai diventata l'unico bastone
su cui appoggiano quattro mani
Sei l'unica speranza e garanzia
per la serenità dei tuoi vecchietti
In quanto Madre
Hai messo al mondo un angelo
e sei diventata un angelo custode
Lo stai già dando tutto di te
eppure vuoi dare sempre di più
In quanto Donna
La tua semplicità e fascino
conquisterebbe qualsiasi uomo
Fortunato è l'uomo accanto a te
ed è per questo che ti voglio ttb!
Blessing Sunday Osuchukwu
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